Carissimi Lettori,
la Genesis Publishing
ha pensato di aprire questa giornata di festa con un augurio speciale, proponendovi un articolo della nostra taletuosa Autrice Francesca Rossi, che ringraziamo con tutto il cuore per la Sua squisita disponibilità. Francesca, quest'anno, ha deciso di dar voce a uno dei suoi personaggi più emblematici, Touissaint Mervat bint Mahmoud al-Kabir, una principessa araba - diventata giornalista di successo a costro di mille sacrifici -, la quale ci racconterà del suo essere donna in una società come quella araba, ma soprattutto, tramite lei, la Rossi intende esortare le migliaia di donne oppresse dal sistema a resistere, a testa alta di fronte alle avversità, alle ingiustizie, ai soprusi. Perché essere donna non significa essere sola o inferiore, al contrario, significa avere la forza per affrontare ogni cosa.
Non ci resta, dunque, che augurarVi buona lettura!
Rubrica: Le Donne. Quanta strada da percorrere
a cura di Francesca Rossi
Non potrei dire
con certezza cosa mi abbia guidato fin qui. Forse ogni mio passo si è posato su
un sentiero già scritto, benché invisibile, o magari io stessa ho creato quel
sentiero, modellandone ogni curva, ogni ostacolo, con lo sguardo dritto verso
un orizzonte irraggiungibile.
Nel Paese da cui
provengo, l’emirato di Durat, siamo piuttosto fatalisti e di sicuro nessuno
ritiene che una donna possa costruirsi da sola il futuro che ha scelto di
vivere.
Il percorso che
tutte noi, una dopo l’altra, intraprendiamo fin dalla nascita, quando ancora
non abbiamo neppure la consapevolezza di esistere, è già stato stabilito da
qualcun altro e non è possibile deviarlo.
Questo vale tanto
per le donne comuni quanto per le principesse e, più in generale, le donne di
alto rango. Siamo tutte molto simili a dei fiori colorati sparsi tra le dune:
non possiamo muoverci, né decidere dove sbocciare. Siamo circondate da mura di
sabbia, eppure vediamo il sole. Nessuno si aspetterebbe di trovarci proprio lì,
eppure ci siamo. Siamo fiere, vivaci, orgogliose dei nostri colori e speriamo
ogni giorno che il vento caldo non li faccia sbiadire.
So bene di cosa
parlo perché, prima di trovare il mio posto a Parigi, prima del giornalismo,
mio grande amore e dei reportage televisivi, io ero una di quelle donne. Per
molti la più fortunata, in quanto figlia dell’emiro.
Quando ero piccola
e con mio nonno, la vera anima libera e illuminata del casato, percorrevo a
cavallo il mare d’oro del deserto, non mi preoccupavo di ciò che sarebbe stato.
Lui era con me e io mi sentivo protetta. Sapevo che non avrei mai regnato,
perché il trono spettava a mio fratello, il primogenito maschio, ma questo non
mi interessava.
Quelle lunghe
cavalcate stavano già forgiando il mio spirito ribelle, senza che me ne
rendessi conto. Il futuro mi appariva lontanissimo, non c’era, molto
semplicemente. Non ancora, almeno.
Continuavo a
percorrere il mio sentiero finché non capii che volevo vedere il mondo,
guardarlo con i miei occhi. Non volevo più essere un piccolo fiore nel deserto,
presto strappato dalla terra per ornare la casa di qualcuno. Non potevo
accettare di appassire senza vedere più il sole. Volevo, invece, mettere radici
salde in un luogo scelto da me sola.
La mia storia, se
ci pensate, non è diversa da quella di tante altre donne: volevo decidere il
mio destino, per quanto possibile.
Abbandonai la casa
di famiglia lasciandomi alle spalle la rabbia di mio padre, che mi considerava
ormai perduta e le lacrime di mia madre. Non ero sola a Parigi: mio fratello
aveva accettato di prendersi cura di me e, prima ancora, si era inutilmente
prodigato per mitigare l’ira paterna.
Se ci fosse stato
il nonno, di certo avrebbe capito il mio forte desiderio di studiare
all’estero.
Nonostante le
difficoltà ottenni ciò che la maggior parte delle ragazze del regno può solo
sognare. Non ci sarebbe stato il matrimonio combinato già deciso da mio padre,
ma una vita tutta in salita. Sapevo che ogni fallimento avrebbe potuto
rispedirmi indietro e, del resto, l’emiro mio padre non attendeva altro. A
parole mi aveva condannata, non voleva più vedermi, né sapere nulla di me ma,
in realtà, non aspettava che un errore, una mia debolezza per costringermi a
tornare a casa.
Da quel momento
iniziò tutto. Durat era ed è sempre nel mio cuore, non ho reciso le radici che
mi legano al mio passato. Sono ancora me stessa, benché al titolo non abbia mai
badato molto.
Col tempo sono
diventata francese pur non rinunciando a essere araba. Sono diventata una donna
come tante pur rimanendo una principessa.
Ho studiato notte
e giorno perché ero consapevole di dover dimostrare che una donna può essere
intelligente e brillante quanto un uomo.
Eppure non sono un
modello per nessuno. Non voglio esserlo, perché faccio ogni giorno tanti errori
di cui, paradossalmente vado fiera.
Gli errori ci
rendono umani e rappresentano, insieme alle speranze, ai sogni e alle azioni
concrete, i mattoni con cui costruiamo le case in cui abita la nostra anima
durante la sua vita terrena.
Alle donne, però,
vengono perdonati pochissimi sbagli.
Quando mio
fratello morì in un misterioso incidente aereo, la mia famiglia si aspettava
che tornassi a Durat, mi sposassi e accettassi di vivere all’ombra di mio
marito, poiché nell’emirato nessuna donna può governare senza un uomo al suo
fianco.
Non lo feci.
All’epoca ero già piuttosto famosa in Francia; i miei reportage sulla
condizione della donna nel mondo mi portavano a scontrarmi con realtà
durissime, impossibili da dimenticare.
Raccolsi tutto il
mio coraggio e continuai a lavorare. Non ritengo di aver tradito il mio Paese,
come pensano alcuni, al contrario. Proprio come fece mio nonno, vorrei tentare
di scardinare i pregiudizi che circondano la femminilità.
Ho imparato che,
in molte parti del mondo, le donne possono essere colpevolizzate anche soltanto
perché aspirano a essere se stesse, a vivere liberamente. Certi uomini e talune
società non hanno pietà per chi esce dal sentiero battuto, per chi vuole
trasformare il deserto in un’oasi.
La battaglia delle
donne, l’ho vissuto sulla mia pelle, viene spesso combattuta in silenzio,
lontana dai riflettori, in una solitudine non sempre sopportabile.
Oggi, poi, persino
la tecnologia ha assunto una funzione quasi “moralizzatrice”, ma attraverso una
gogna pubblica che dalla morale è molto lontana, mentre si accompagna con
inquietante facilità alla vendetta più bieca, al pubblico gioco al massacro in
nome di uno spaventoso divertimento.
Le donne, ancora
una volta, sono le vittime sacrificali preferite di questa sorta di
“ghigliottina mediatica”.
Tutta la mia vita
si è svolta di fronte al pubblico; dal mio popolo ai telespettatori, fino ai
lettori. Non mi è stato perdonato niente, soprattutto dai giornali, dai miei
stessi colleghi e non ho mai potuto scegliere l’anonimato.
Certo, quest’ultimo
non è garanzia di un’esistenza tranquilla, ma se c’è una cosa che ho appreso in
questi anni è il senso di responsabilità e la consapevolezza di me stessa.
Mi rivolgo alle
ragazze e alle donne adulte.
Troverete sempre,
sul vostro cammino, qualcuno che pretenderà di dirvi cosa è giusto e cosa è
sbagliato per voi. Qualcuno che si arrogherà il diritto di “guidarvi per il
vostro bene”, ma sarà pronto a deridere o a criticare ogni vostro tentativo di
spiegare le ali e volare verso il vostro destino.
Ci sarà chi vi
dirà che no, non potete farcela, no, non siete all’altezza. Subirete pressioni,
talvolta perfino ricatti psicologici che vi faranno sentire sole e abbandonate.
A quel punto la voglia di arrendersi sarà forte.
Ebbene, voi
dovrete esserlo di più. Sarà vostro il compito di dimostrare a voi stesse prima
di tutto che non siete sole, perché siete la vostra migliore amica e,
soprattutto, perché intorno a voi ci sono tantissime donne che lottano
quotidianamente. Anche se non ve ne accorgete; anche se non le conoscete.
La strada da
percorrere per vedere riconosciuti i diritti delle donne in tutto il mondo è
ancora molto lunga e forse noi non ne vedremo la fine. La vedranno le nostre
nipoti, o le loro figlie, chissà.
Proprio verso
queste abbiamo il dovere di non lasciarci travolgere dalle onde del mare in
burrasca.
Io ho remato e
continuo a farlo benché le braccia mi facciano male.
Siamo tutte fiori
nel deserto. Dobbiamo imparare a rincorrere il sole anche quando si nasconde
dietro alle dune, perfino quando la sua luce si fa talmente intensa da
rischiare di bruciarci.
Del resto il
deserto nasconde la vita nelle oasi, negli angoli più remoti. Sta a noi trovare
l’acqua, proprio come i Tuareg, dimenticando chi ci ha insegnato che tra i
granelli di sabbia vi è solo arsura.
Toussaint Mervat bint Mahmoud al-Kabir