Carissimi Lettori,
in questo giorno un po' speciale, volevamo porre i nostri Auguri a tutte le donne in maniera speciale!
Così, oltre al
Giveaway flash che durarà per l'intera giornata, la
Genesis Publishing ha pensato di proporvi uno splendido articolo di una delle Autrici di maggior talento che possiamo annoverare nella nostra Rosa:
Francesca Rossi, che ringraziamo con tutto il cuore per la Sua squisita disponibilità. Non ci resta, dunque, che augurarVi buona lettura!
Rubrica: Le Donne. Quanta strada da percorrere
a cura di Francesca Rossi
La foto che vedete ritrae due bambole
geisha che, ormai da tempo, hanno trovato un posto d’onore sulla mia scrivania
(a causa della scarsa luminosità dovuta a questo strano tempo uggioso la foto,
in via eccezionale, è stata fatta in esterno).
Sono sempre lì, leggiadre ed eleganti,
mentre scrivo o leggo, d’estate e d’inverno, di giorno e di notte.
Non è un caso che le abbia messe lì, sul
“tavolo da lavoro”. Non hanno un particolare valore, se non quello affettivo,
ma la loro sola presenza mi permette di riflettere.
Nell’immaginario collettivo la geisha è
una donna servizievole e sottomessa al suo padrone. Quanto volte sentiamo dire
frasi come “quella ragazza è una geisha per il suo fidanzato”, oppure “è una
moglie-geisha”.
Questo è ciò che siamo abituati a vedere,
o meglio, così siamo stati abituati. Ragionare per stereotipi, però, non ci
farà andare da nessuna parte.
La geisha non è una moglie, né una
fidanzata, tantomeno una donnina senza cervello e opinioni, pronta solo a obbedire
e, soprattutto, non è una prostituta.
Ricordate il film Memorie di una Geisha (2005) tratto dal romanzo omonimo di Arthur
Golden (1997)? Una delle battute più famose della pellicola recita così: “La parola geisha significa artista ed essere
geisha vuol dire essere valutata come un’opera d’arte in movimento”.
Benissimo. Sapete quanti anni impiegano,
queste donne, per diventare opere d’arte in movimento? Tanti, una vita dedicata
all’arte, fatta di sacrifici, umiliazioni, duro lavoro, successi e fallimenti.
Niente, nella loro danza o nel loro canto, nel modo di muoversi e di parlare, è
lasciato al caso.
La geisha studia l’arte per apprendere la
vita e la sua è una missione che richiede totale dedizione. Per questo motivo
(e non solo) le geisha sono sempre di meno.
Pensate ancora che siano esserini deboli e
privi di volontà? Obbediscono, sì, ma non chinano la testa. Coltivano un sacro
rispetto delle regole che hanno cristallizzato il loro stile di vita nei
secoli, ma sanno innovare, con la loro personalità, il concetto stesso di arte.
La geisha non è un corpo irrigidito dalle
privazioni, bensì modellato dalla passione che è una rosa dotata di molte
spine.
Ecco perché tengo le due bambole geisha
sempre di fronte a me: la loro presenza silenziosa mi ricorda che l’esistenza,
in particolare quella femminile, è fatta di sfide, ma anche di errori e
vittorie.
Queste donne sono l’emblema della
perseveranza, della determinazione, della pazienza, della dolcezza che non
viene guastata dai mali del tempo.
Mi ricordano che i cliché sono parole
svuotate di significato, mentre la grazia, la disciplina e il lavoro su se
stessi e sul mondo rimangono, esempio tangibile di chi siamo e della nostra
eredità per chi verrà dopo di noi.
Le bambole geisha sono lì a rammentarmi
che se sbaglio un passo posso correggerlo e non importa se dovrò provarlo
ancora cento o mille volte. L’importante è che io abbia la fermezza e la
pazienza di non accontentarmi.
Questo dovrebbero ricordare tutte le
donne, soprattutto in questo giorno di festa e commemorazione.
Non arrendersi, concentrarsi su se stesse
e sui propri passi è il primo gradino da affrontare. Le voci, il
chiacchiericcio, le frasi che sanno di già detto e sentito vanno lasciate fuori
dalla porta del cuore.
La geisha danza senza chiedersi come gli
altri vedano la sua vita. Danza e basta, perché sa che nella sua grazia c’è già
l’essenza di ciò che è e di ciò che vuole dire. Non pensa a quanti la guardano,
solo a rendere raffinata la visione.
Niente è per caso, neppure la femminilità
che alcuni temono, altri sviliscono, altri ancora osannano. Essere donna è una
danza, o un canto se preferite, che segue regole più vecchie del tempo e,
contemporaneamente, le innova a dispetto di quanti vorrebbero incatenarla in
schematiche movenze sempre uguali.
Del resto non è un caso neppure che io
abbia scelto di dedicare la mia scrittura alle donne; Livia e Laura e i personaggi che verranno sono quei passi che non
mi stancherò di ripetere, di perfezionare, di cercare e spiegare oltre i
pregiudizi finché avrò la forza e la possibilità di farlo.
La ribellione di Livia e di Laura è una
lotta non sempre a lieto fine, ma che deve essere combattuta per le donne che
verranno.
A quelle che amano festeggiare l’8 marzo,
a quelle che rimangono indifferenti, a quante credono che la donna vada
festeggiata ogni giorno, a chi vuole la mimosa, a chi preferisce un’orchidea, a
quante aprono gli occhi sul mondo in questo istante, a quante stanno per
chiuderli perché il loro tempo è scaduto, a quelle che hanno vissuto, vivono e
vivranno, a quelle che hanno dato la vita affinché noi, oggi, potessimo essere
libere, viaggiare, studiare, leggere e scrivere, a quante hanno avuto paura, a
quante questa paura l’hanno vinta.
Che possiamo, tutte, vivere pienamente i
nostri giorni e lasciare dietro di noi un’impronta profonda e vera del nostro
passaggio, una traccia che sia, per le nostre figlie, l’inchiostro con cui
scriveranno la loro storia.