08/03/16

8 MARZO 2016: "Bambola geisha, donna geisha"

Carissimi Lettori,
in questo giorno un po' speciale, volevamo porre i nostri Auguri a tutte le donne in maniera speciale!
Così, oltre al Giveaway flash che durarà per l'intera giornata, la Genesis Publishing ha pensato di proporvi uno splendido articolo di una delle Autrici di maggior talento che possiamo annoverare nella nostra Rosa: Francesca Rossi, che ringraziamo con tutto il cuore per la Sua squisita disponibilità. Non ci resta, dunque, che augurarVi buona lettura!





Rubrica: Le Donne. Quanta strada da percorrere

a cura di Francesca Rossi

 
La foto che vedete ritrae due bambole geisha che, ormai da tempo, hanno trovato un posto d’onore sulla mia scrivania (a causa della scarsa luminosità dovuta a questo strano tempo uggioso la foto, in via eccezionale, è stata fatta in esterno).

Sono sempre lì, leggiadre ed eleganti, mentre scrivo o leggo, d’estate e d’inverno, di giorno e di notte.
Non è un caso che le abbia messe lì, sul “tavolo da lavoro”. Non hanno un particolare valore, se non quello affettivo, ma la loro sola presenza mi permette di riflettere.
Nell’immaginario collettivo la geisha è una donna servizievole e sottomessa al suo padrone. Quanto volte sentiamo dire frasi come “quella ragazza è una geisha per il suo fidanzato”, oppure “è una moglie-geisha”.
Questo è ciò che siamo abituati a vedere, o meglio, così siamo stati abituati. Ragionare per stereotipi, però, non ci farà andare da nessuna parte.
La geisha non è una moglie, né una fidanzata, tantomeno una donnina senza cervello e opinioni, pronta solo a obbedire e, soprattutto, non è una prostituta.
Ricordate il film Memorie di una Geisha (2005) tratto dal romanzo omonimo di Arthur Golden (1997)? Una delle battute più famose della pellicola recita così: “La parola geisha significa artista ed essere geisha vuol dire essere valutata come un’opera d’arte in movimento”.
Benissimo. Sapete quanti anni impiegano, queste donne, per diventare opere d’arte in movimento? Tanti, una vita dedicata all’arte, fatta di sacrifici, umiliazioni, duro lavoro, successi e fallimenti. Niente, nella loro danza o nel loro canto, nel modo di muoversi e di parlare, è lasciato al caso.
La geisha studia l’arte per apprendere la vita e la sua è una missione che richiede totale dedizione. Per questo motivo (e non solo) le geisha sono sempre di meno.
Pensate ancora che siano esserini deboli e privi di volontà? Obbediscono, sì, ma non chinano la testa. Coltivano un sacro rispetto delle regole che hanno cristallizzato il loro stile di vita nei secoli, ma sanno innovare, con la loro personalità, il concetto stesso di arte.
La geisha non è un corpo irrigidito dalle privazioni, bensì modellato dalla passione che è una rosa dotata di molte spine.
Ecco perché tengo le due bambole geisha sempre di fronte a me: la loro presenza silenziosa mi ricorda che l’esistenza, in particolare quella femminile, è fatta di sfide, ma anche di errori e vittorie.
Queste donne sono l’emblema della perseveranza, della determinazione, della pazienza, della dolcezza che non viene guastata dai mali del tempo.
Mi ricordano che i cliché sono parole svuotate di significato, mentre la grazia, la disciplina e il lavoro su se stessi e sul mondo rimangono, esempio tangibile di chi siamo e della nostra eredità per chi verrà dopo di noi.
Le bambole geisha sono lì a rammentarmi che se sbaglio un passo posso correggerlo e non importa se dovrò provarlo ancora cento o mille volte. L’importante è che io abbia la fermezza e la pazienza di non accontentarmi.
Questo dovrebbero ricordare tutte le donne, soprattutto in questo giorno di festa e commemorazione.
Non arrendersi, concentrarsi su se stesse e sui propri passi è il primo gradino da affrontare. Le voci, il chiacchiericcio, le frasi che sanno di già detto e sentito vanno lasciate fuori dalla porta del cuore.
La geisha danza senza chiedersi come gli altri vedano la sua vita. Danza e basta, perché sa che nella sua grazia c’è già l’essenza di ciò che è e di ciò che vuole dire. Non pensa a quanti la guardano, solo a rendere raffinata la visione.
Niente è per caso, neppure la femminilità che alcuni temono, altri sviliscono, altri ancora osannano. Essere donna è una danza, o un canto se preferite, che segue regole più vecchie del tempo e, contemporaneamente, le innova a dispetto di quanti vorrebbero incatenarla in schematiche movenze sempre uguali. 
Del resto non è un caso neppure che io abbia scelto di dedicare la mia scrittura alle donne; Livia e Laura e i personaggi che verranno sono quei passi che non mi stancherò di ripetere, di perfezionare, di cercare e spiegare oltre i pregiudizi finché avrò la forza e la possibilità di farlo.
La ribellione di Livia e di Laura è una lotta non sempre a lieto fine, ma che deve essere combattuta per le donne che verranno.
A quelle che amano festeggiare l’8 marzo, a quelle che rimangono indifferenti, a quante credono che la donna vada festeggiata ogni giorno, a chi vuole la mimosa, a chi preferisce un’orchidea, a quante aprono gli occhi sul mondo in questo istante, a quante stanno per chiuderli perché il loro tempo è scaduto, a quelle che hanno vissuto, vivono e vivranno, a quelle che hanno dato la vita affinché noi, oggi, potessimo essere libere, viaggiare, studiare, leggere e scrivere, a quante hanno avuto paura, a quante questa paura l’hanno vinta.
Che possiamo, tutte, vivere pienamente i nostri giorni e lasciare dietro di noi un’impronta profonda e vera del nostro passaggio, una traccia che sia, per le nostre figlie, l’inchiostro con cui scriveranno la loro storia.

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